mercoledì 28 gennaio 2009

Morto Anthony Minghella, regista da Odissea.

All’alba del 18 marzo scorso si è spento a Londra Anthony Minghella, 54 anni, affermato regista britannico, di chiare origini italiane. E’ ricordato soprattutto per il premio Oscar vinto per la direzione del Paziente inglese del 1996, capolavoro quasi epico con Ralph Fiennes, che sbancò agli Academy Awards con ben nove statuette.
La carriera del giovane Minghella comincia come drammaturgo teatrale in Inghilterra, occupazione tra le più ambite fra le più fresche menti di Gran Bretagna, e si laurea con ottimi risultati all’università di Hull, nello Yorkshire, presentando il suo primo progetto cinematografico; un film piuttosto dispendioso dedicato alla nonna italiana a cui era molto legato. Dopo un’ottima esperienza dal punto di vista drammaturgico-teatrale, viene premiato nel 1986 col riconoscimento per la migliore opera “Made in Bangkok”. Nel 1990 il grande salto: l’industria cinematografica britannica gli dà fiducia finanziando il suo primo progetto su grande schermo, Il fantasma innamorato, una commedia fantastica dagli spunti melò, con Alan Rickman e Juliet Stevenson, e dimostra di saperci fare nel trattare i rapporti sentimentali che vanno aldilà della vita terrena. Nel 1992 sbarca negli USA, chiamato a dirigere la commediola newyorchese Mister Wonderful, nella quale non basta un cast di ottimi attori come Matt Dillon e William Hurt. Il talento di Minghella non si esaurisce di certo in queste pellicole soft e poco celebrate. Nel ’96, come già detto, arriva la grande occasione; viene chiamato a tradurre in film il best-seller dell’asiatico Michael Ondaatje Il Paziente inglese. L’intensa storia valica epoche e mondi diversi, dalla Toscana all’India, dal deserto alle piramidi del Cairo, raffigura le brutalità della Seconda Guerra Mondiale e scava nel rapporto intimo e ultra-terreno fra un ricco uomo britannico (R.Fiennes) e la sua amata Katherine (Kristin Scott Thomas), raccontato dallo stesso protagonista, ormai sfiguarato, sotto le cure della curiosa infermiera Hana (Juliette Binoche). Fu girato a Hollywood, ma è un progetto di puro stampo europeo, a livello tecnico e ideologico; è un’odissea degli uomini, alla ricerca della condizione perfetta e globale. A fine secolo Minghella torna a realizzare una pellicola importante come Il talento di Mr. Ripley, con Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow, Anche qui il regista affronta i temi dei rapporti sentimentali travagliati, ma li unisce a un ritmo da thriller psicologico e al tema del falso, accomunato da un senso di invidia e rabbia primordiale, istintiva, feroce. Film nel complesso sopravvalutato, ma che rafforza l’immagine di Minghella come regista dalle tematiche impegnative. La più grande fatica del regista anglo-italiano è datata 2003, nella trasposizione filmica del romanzo di Charles Fraizer Ritorno a Cold Mountain. Il film tratta la vera e propria Odissea del soldato W.P. Inman (Jude Law), taciturno, solitario, ma con la sola speranza di riabbracciare un giorno la sua amata Ada Monroe (Nicole Kidaman), una sorta di Penelope della prateria statunitense, costretta a fronteggiare fame e ingiustizie. La pellicola ha chiarissime attinenze col poema omerico, divisa in due blocchi narrativi: la guerra e il ritorno arduo dell’eroe Inman e la permanenza difficile della giunonica Ada. Premiato con un solo Oscar, alla attrice non-protagonista Renè Zellweger, rimane uno dei caposaldi epici del cinema americano di inizio millennio. Nel 2006 infine, Minghella, più stucchevole e razionale che mai, torna a Londra per girare Complicità e sospetti, ancora una volta con Jude Law e Juliette Binoche; si ritorna a parlare dei rapporti inter-personali più recenti, in una città multi etnica dove si ha paura di impegnarsi e di esprimere i sentimenti più reconditi. Tutto può essere messo in crisi, anche questa è un’Odissea dell’animo umano, incapace di dirigersi verso la strada giusta, quella del raziocinio.
Ci viene difficile invece comparare la vita di Anthony Minghella a quella del prode Ulisse, eroe di mille mondi; il regista i mille mondi li ha comunque saputi raccontare con energia e spiccata emozione, e con quel velo intimo di speranza capace di trasportarci in un universo old-style tra le difficoltà dell’essere.
di Keivan Karimi. 18 marzo 2008.

Nessun commento:

Posta un commento