mercoledì 28 gennaio 2009

Omaggio a Gillo Pontecorvo.

Se ne è andato senza far troppo rumore Gillo Pontecorvo, con discrezione, la stessa discrezione con cui ha attraversato la storia del cinema, italiano e non. Da giovane prese parte alla Resistenza, e resistente fu tutta la sua vita: alle logiche produttive dell’(allora) industria cinematografica italiana, girando appena sei film in quarant’anni di carriera, coltivando solo i progetti che gli interessavano, anche quando risultavano delle chimere; all’immobilismo politico-culturale del paese, nel momento in cui decise di uscire dal PCI, quando quella era la parte “giusta” dove schierarsi; alle critiche anche feroci che subì, come quando l’allora critico dei Cahiers du Cinema Jacques Rivette accusò il film Kapò di essere emotivamente ricattatorio nei confronti dello spettatore.
Dei suoi film solo uno può essere definito un capolavoro assoluto, quella Battaglia di Algeri che, con il suo stile semidocumentaristico, viene ancora oggi considerato un modello assoluto di cinema bellico. Non lo sono Ogro, il suo contestato film sul terrorismo, né Queimada, nonostante la presenza carismatica di Marlon Brando. Sul set i due mal si sopportavano, benché si stimassero; ma riuscire a domare la star hollywoodiana era anch’esso un segno della sua caratura di regista.
Sebbene le celebrazioni in suo onore non siano state sperticate, Pontecorvo lascia un ricordo profondo nella memoria degli spettatori e della storia culturale del nostro paese, e la speranza è che le nuove generazioni non dimentichino la sua lezione di coerenza e di indipendenza, di uomo, prima ancora che artista, resistente a tutto e a tutti, tranne che a se stesso.
di Giulio Ragni, 9 novembre 2006.

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