Vincitore sotto la bandiera marocchina della Palma d’oro al festival di Cannes nel 1952, ex aequo con il neorealista Due soldi di speranza di Renato Castellani, Othello, tratto dall’omonima tragedia di William Shakespeare, è il frutto della perseveranza e genialità del regista ed attore Orson Welles. Progettato nel 1948, Othello è stato completato nel 1952, dopo quattro lunghi anni alla ricerca di finanziamenti e set cinematografici tra innumerevoli traversie. Dopo la mancata costruzione iniziale delle scenografie nella Francia del Sud e dopo aver girato alcune scene a Venezia, Welles opta per la scelta di esterni reali che saranno trovati nella fortezza portoghese di Mogador in Marocco. Per gli ambienti interni, il regista, invece, decide di ricostruire il castello che fa dà sfondo alle vicende in ben quattro città diverse del Marocco e in cinque località italiane, facendo in modo, tramite azzeccate inquadrature, che sembri un unico luogo.
Anche per quanto riguarda le difficoltà nel reperimento del cast, Welles dimostra una grande inventiva nelle soluzioni. Tre, infatti, sono le attrici che interpretano la parte di Desdemona: Lea Padovani, Betsy Blair e Suzanne Cloutier. Mentre le prime due sono state impiegate solo per poco tempo, l’ultima ha avuto la parte definitiva e Welles ha sapientemente utilizzato inquadrature fuori campo e dall’alto verso il basso per dare “unità” a un’unica Desdemona. Nella costruzione di ambienti artificiali e nell’uso di determinate tecniche cinematografiche, si può notare un allontanamento dalla concezione teatrale di Shakespeare che prevedeva una scenografia neutra dove erano le parole a mettere in azione la capacità immaginative del pubblico che, a sua volta, nella sua mente creava l’ambiente della storia.
Le differenze principali tra il dramma teatrale e il film
Vediamo quali sono le diversità più rilevanti fra l’opera di Welles e quella del Bardo. Il dramma teatrale di Shakespeare inizia in medias res, nel pieno dell’azione in una strada di Venezia con un dialogo fra Roderigo e Iago che svela il suo odio per il Moro e il suo desiderio di distruggerlo.
Al contrario, il film di Welles parte con l’ inquadratura della testa di Othello già morto e con il funerale di Desdemona e di Othello stesso. Quest’immagine tornerà a chiusura del film, mentre in Shakespeare il sipario si chiude con Lodovico che dichiara di riferire a Venezia i fatti avvenuti. La gabbia in cui viene rinchiuso Iago durante le esequie dei due sposi è un’invenzione di Welles che la fa apparire più volte nel corso del film per dare la sensazione di una rete fatale in cui sono avvolti tutti i personaggi , destinati ad essere intrappolati nella sua spirale.
Come in Quarto potere Welles parte dalla morte del protagonista per togliere l’attenzione sullo svolgimento dell’intreccio e fare ragionare lo spettatore sul perché del tragico epilogo dei fatti. Dopo il prologo con i funerali, il regista sposta l’azione a Venezia dove una voce over (voce che non appartiene al mondo diegetico e che corrisponde al messo con funzione di prologo del teatri elisabettiano) racconta la vicenda del Moro e del suo innamoramento per Desdemona. Lo spettatore vede una ragazza che fugge di casa di notte e raggiunge il Moro, poi l’azione procede uguale con Iago e Roderigo come nel dramma. Ma già dalle prime battute dei personaggi si capisce come Welles abbia dovuto elidere la lunghezza dei dialoghi, ricchi di prosa e poesia per contenerli nei novantadue minuti della durata della pellicola. Dopo un acceso dialogo fra Othello e il padre di Desdemona, Barbazio, che accusa il Moro di avergli rapito la figlia, la voce over torna poi per annunciare che i senatori del Gran Consiglio hanno nominato il generale a capo di una spedizione a Cipro contro i Turchi. Tutto questo corrisponde alla scena terza del dramma che si svolge nella camera del consiglio. Nel procedere dell’opera, un’altra differenza è ben visibile nella scena della rivolta nel secondo atto che viene mostrata con una massa di persone e in diversi luoghi dell’isola, procedimento improponibile in teatro. Il momento in cui Iago inizia ad insinuare la gelosia a Othello è risolto in Welles con una lunga carrellata, senza stacchi di ripresa, sulla spiaggia; invece, nell’opera shakespiriana si svolge davanti al castello. Se quest’ultima differenza è attribuibile alla preferenza di Welles per i piani sequenza, la decisione di togliere le battute del clown e del musico, personaggi che danno un tocco comico alla vicenda all’inizio del terzo atto, rientra nella volontà del regista di eliminare ogni aspetto sia allegro che romantico dal dramma per darne una resa sanguinea e barbarica.
I personaggi di Shakespeare e Welles
Come si può analizzare già nelle pagine di Shakespeare, anche in Welles è la mancanza di una vera comunicazione tra i personaggi a fare scivolare la vicenda verso una conclusione catastrofica; il linguaggio diventa un veicolo di comunicazione compromesso, pervertito e infranto. E’ la volgarità della mente e delle parole di Iago, la sua “prosa” a contaminare l’alta poesia con cui si esprime Othello e si oppone anche al linguaggio cortigiano e cortese di Cassio. Iago domina le forme e i modi della comunicazione, abbassando tutto ciò che è alto e sublime su un piano basso, materiale e volgare. Anche il linguaggio forbito di Othello, a mano a mano che Iago lo stordisce con i suoi sospetti su Desdemona, cade su un livello osceno e costituisce una realtà non vera, illusoria e falsa. Tutta la tragedia si basa sulla differenza fra l’essere e l’apparire, tutti i personaggi e le situazioni sono ribaltate nel loro esatto contrario.
Iago, quindi, riesce a soggiogare Othello principalmente perché Il Moro è un uomo semplice, un rude e valoroso soldato che si è distinto durante la guerra, ma che non conosce assolutamente nulla del mondo femminile ed è per questo motivo che le parole di Iago riescono ad annientarlo completamente. A sua volta, Desdemona appartiene al nobile e raffinato mondo dell’aristocrazia veneziana, perciò non riesce a comprendere completamente il marito. Nel confronto con lui preferisce rinchiudersi in se stessa piuttosto che cercare di capire il motivo dell’ira di Othello. Del marito Desdemona si è creata un’immagine artificiale tramite le avventure delle sue audaci imprese, raccontati dallo stesso Othello con una voce affabulante che fa braccia nel cuore della ragazza.
Al personaggio di Iago Welles toglie, invece, quel lato mefistofelico, quella malvagità consapevole che si notano nella tragedia shakespiriana, facendolo agire in maniera inconscia, suggerendo all’attore Michael MacLiammor (che interpreta Iago) di usare il motivo dell’impotenza come stimolo per dare vita al suo personaggio.
Rispetto a Shakespeare, Welles riesce a rendere esplicitamente visibile il senso di fatalità che aleggia nel testo. Non appena gliene viene offerta l’occasione, Welles ricorre subito a immagini di imprigionamento. Quasi all’incipit del film, per esempio, ci mostra Iago trascinato per le vie di Cipro con un collare da cane; una soggettiva riprende e segue una guardia che spinge Iago (e noi spettatori con lui) in una piccola gabbia di ferro, che viene poi sollevata. Mentre ci racconta la storia vera e propria, Welles situa ripetutamente questa gabbia in un angolo dell’azione, per ricordare al pubblico il destino di Iago e allo stesso tempo simboleggiare le passioni che imprigionano gli altri personaggi. Gli attori sono spesso separati da colonne e cancelli e fotografati fra ombre che assomigliano a sbarre. Perfino la camera da letto di Othello e Desdemona è allestita come una cella che ha in cima una sorta di pesante portelo di ferro attraverso cui Lodovico e molti altri spiano il Moro, vinto, infine, dal Destino.
Particolare attenzione è dedicata all’opposizione fra l’ambientazione veneziana e quella nel Mediterraneo; nella prima gli uomini indossano sontuose vesti (riprese dai quadri del pittore rinascimentale Vittore Carpaccio), mentre nella seconda dominano semplici abiti, quasi trasparenti. Anche l’opposizione tra bianco e nero è rimarchevole nel film; Othello con la sua pelle scura emerge dal contrasto fotografico fra scuro e chiaro, mentre Desdemona è tratteggiata come creatura botticelliana, candida, luminosa e soave nel suo biancore. A partire dagli anni Novanta diversi registi hanno tentato inutilmente un confronto con l’Othellodi Welles. Nel 1995 Oliver Parker ha trasformato la tragedia della gelosia in un thrillererotico, mentre nel 2001 sotto la direzione dell’attore-regista Tim Blake Nelson (in “O” come Otello) Othello diventa un dramma sul disagio giovanile che regna nelle scuole della Carolina del Sud. Ma la pellicola di Welles è tuttora irraggiungibile.
di Maria Grazia Rossi, 3 marzo 2007.
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