I film di David Lynch non vanno compresi, vanno vissuti. Ultimo sperimentatore del linguaggio cinematografico, Lynch firma con INLAND EMPIRE il suo film simbolo, egotico e narcisistico fino all’inverosimile, dove convivono il sublime e l’osceno, grandi soprassalti di regia alternati a lunghi momenti di noia, un infinito precipitare nel buco nero delle visioni e degli incubi del regista, un mare magnum di autocitazioni e collegamenti con la sua intera filmografia.
Con il suo meccanismo a scatole cinesi che non ha alcun appiglio logico e/o narrativo, Lynch realizza un vero film d’avanguardia, come se ne facevano agli albori del secolo scorso: sembra quasi di rivedere Entr’acte, il manifesto dadaista di René Clair e Francois Picabia. Come quello, INLAND EMPIRE appare così libero da perdersi nelle immagini, permettendo al regista di sperimentare sui colori, le forme, le inquadrature; grazie alla tecnica digitale Lynch reinventa spazio e tempo, privandoli di qualsiasi coordinata.
Ma il vero “scandalo” di quest’opera è che in buona sostanza mette con le spalle al muro la critica, con i suoi criteri di giudizio codificati e stabiliti: l’esaltazione aprioristica dei fan come il rifiuto altrettanto pregiudizievole dei detrattori finisce con lo snaturare l’essenza vera del dibattito che ci dovrebbe essere intorno a questo film. La “crisi” del giudizio si trasforma difatti in impossibilità di giudizio: qualsiasi opinione può risultare tanto legittima quanto fuorviante, da qualunque angolazione lo si guardi, a questo film sfugge una visione d’insieme, usciti dalla sala qualcosa inevitabilmente non torna.
Avanguardia si è detto: ma quei film duravano dai quindici ai cinquanta minuti scarsi, questo INLAND EMPIRE centottanta minuti centottanta: dire che si fatica arrivare alla fine è un eufemismo. Forse fra vent’anni ci apparirà irrimediabilmente datato (come sono datati tutti i film d’avanguardia del resto), ma allo stato delle cose, l’ultima pellicola di Lynch è un punto di non ritorno, per la carriera del regista e per il cinema in generale, un viaggio senza meta, un tuffo nell’oscurità più buia. Inclassificabile.
di Giulio Ragni, 23 febbraio 2007.
Nessun commento:
Posta un commento