lunedì 16 febbraio 2009

80th Academy Awards - La notte degli Oscar

Ottanta e non sentirli. Cosi, passato l’uragano dello sciopero degli sceneggiatori, Hollywood soffiare senza incertezze su questo importante traguardo, celebrando, rievocando, tutta la storia del cinema che è passata di li. E chi si aspettava verdetti scontati è rimasto interdetto, ulteriore dimostrazione di come, malgrado l’età, da queste parti ci sia ancora voglia di stupirsi e di stupire. Cosi, condotta magnificamente dall’irriverente comico Jon Stewart (noto negli States per un show tutto suo, in cui mette alla berlina tutto e tutti), si consuma la notte più attesa da chi fa il cinema e da chi lo ama. I primi premi assegnati sono, per dirla tutta, prevedibili e scontati. “Elizabeth: The Golden Age” vince per i migliori costumi mentre, “Ratatouille” vince facilmente come miglior film d’animazione. Poi arriva il premio per il miglior trucco. E qui arriva la prima sorpresa o, per meglio dire, la sua anticipazione. Ad aggiudicarselo è infatti “La vie en rose”, film francese sulla vita della della cantante Edith Piaf, e qui viene il sospetto che la sua interprete, l’outsider Marion Cotillard possa nutrire delle più che legittime speranze. Ma non c’è tempo per riflettere e lo show che deve andare avanti inietta, in noi italiani, un po’ di orgoglio patrio per la conferma, se ce ne fosse stato bisogno, di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, sdoganati non più di tre anni fa quando vinsero, dopo innumerevoli candidature, l’Oscar per la miglior scenografia di “The Aviator”, che stavolta vincono l’ambita statuetta per i set gotici di “Sweeney Todd” (uno dei grandi delusi, sia in nomination, che in premi vinti, dato che questo sarà l’unico per il film di Tim Burton) e per l’affermazione del pisano Dario Marianelli che dopo una nomination, riesce ad aggiudicarsi il premio per la migliore colonna sonora originale di “Espiazione” (altro “grande” atteso lasciato a bocca asciutta). Ma come è detto è l’Oscar delle affermazioni inaspettate. Non ci si può quindi non emozionare di fronte al volto sconvolto di Tilda Swinton, vincitrice a sorpresa come miglior attrice non protagonista. Qui la favorita era l’australiana Blanchett per la sua incredibile trasformazione in Bob Dylan di “Io non sono qui” che ha dovuto abdicare, e mai termine qui fu più esatto, in favore anche di un’incredula Marion Cotillard, la cui reazione ci ricorda che cosa siano gli Oscar. Li possiamo snobbare, dire che sono soltanto un premio quando, i premi e le categorie nell’arte non dovrebbero nemmeno esistere. Si può dire che, in fondo, è tutto pilotato e che il cinema americano non è necessariamente il centro del mondo di celluloide. Poi però, regolarmente, quando ci si trova in quel cinema e, magari, viene chiamato il proprio nome è come se per un attimo ci si ricordasse perché si è cominciato a fare quel lavoro. Ci si sente “rocked” (scossi, sconvolti, appunto), parte di una storia  lunga quasi cento anni, fatti di nomi incredibili e momenti indimenticabili ( che vengono, come, immancabilmente rievocati lungo tutta la serata) e ci si scioglie come bambini. E’ quell’attimo che artisticamente ti cambia vita e poi, via, si va avanti. Ancora Europa nella notte d’America: lo spagnolo Bardem, vince come miglior attore non protagonista nel film dei Coen ( che poi vincerà anche nelle altre categorie principali)  e l’irlandese Daniel Day Lewis (miglior attore ne “Il petroliere”, altro grande deluso). I Coen, appunto, che dopo i mezzi passi falsi di “Ladykillers” e “Prima ti sposo, poi ti rovino”, vincono con il loro nuovo riconosciuto capolavoro, “Non è un paese per vecchi”, le statuette per la miglior sceneggiatura non originale, per la regia, e per il miglior film.
Quali conclusioni si possono trarre dalla serata? Molte e sicuramente stimolanti. Intanto che per la prima volta in assoluto le statuette per i miglior interpreti sia maschili che femminili, protagonisti e non, vanno a tutte ad attori e attrici non americani/e e in particolar modo, tutti europei. Una coincidenza del destino oppure un’inaspettata apertura da parte dell’Accademy? Sicuramente un segno inequivocabile e un conseguente riconoscimento di una crescita di professionalità nell’”industria” europea. Non è sicuramente qui il caso di tirar le orecchie agli attori italiani ma  dovrebbe essere, almeno, motivo di riflessione. Le porte di Hollywood sono aperte anche a loro, manca solo la giusta determinazione per varcarle. Poi, ovviamente, non possiamo non parlare dei grandi delusi. Prima di tutto lo spettacolare affresco di Paul Thomas Anderson, “Il Petroliere”, che se in partenza era dato tra i favoriti, ha visto man mano andar via tutti i premi, dovendosi accontentare soltanto della “fotografia” e del “miglior attore”. “Sweeney Todd”, che come già detto era escluso dai premi maggiori, si è visto premiare soltanto per la scenografia mentre è ancora più clamoroso quanto avvenuto con “Into the Wild”. Il film di Sean Penn è magnifico sotto tutti i punti di vista ma è come caduto nel dimenticatoio, insieme alle musiche travolgenti di Eddie Vedder. “Espiazione”, probabilmente sopravvalutato, si può comunque considerare deluso dal solo premio per la colonna sonora.“Sicko” di Michael Moore, stavolta scalzato da “Taxi to the Dark Side”, denuncia delle violenze dei soldati americani nei confronti dei prigionieri (“Annunciato” peraltro dai soldati stessi in diretta dai territori di guerra…). Sorridono, invece, l’ex-spogliarellista Diablo Cody che firma la vincente sceneggiatura originale di “Juno” ( e ora speriamo non si perda, data la carenza di idee vergini nel panorama del cinema americano) e il terzo capitolo di “Bourne” che, senza tante velleità, riesce ad affermarsi nelle categorie tecniche di miglior montaggio e mixaggio sonoro e in quella “nobile” di miglior montaggio. Miglior film straniero è il tedesco “Il Falsario”, mentre non ce la fa per un soffio “Il supplente” di Andrea Jublin, nei corti, ma, va detto, che probabilmente nemmeno lui avrebbe scommesso, giusto un anno fa, di trovarsi seduto li. 
Le luci si spengono e le stelle tornano a casa. Lasciandoci addosso la sensazione che qui tutto è possibile, che ognuno può realizzare il suo sogno, perché qui gli angeli esistono davvero.
di Stefano Cavalli, 25 febbraio 2008.

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