mercoledì 18 febbraio 2009

LA VOCE NELLA TEMPESTA (di William Wyler, 1939)

Un compendio di tutti i temi chiavi del romanticismo da riscoprire con entusiasmo. Se avete letto il romanzoCime tempestose della scrittrice inglese Emily Brontë, appassionandovi alla storia d’amore di Catherine e Heathcliff, non dovete perdere la La voce nella tempesta, , ovvero la trasposizione fatta dal regista William Wyler nel 1939. Il film riporta fedelmente la vicenda descritta dalla Brontë, anche se viene omessa la parte riguardante i figli dei protagonisti. 
Ecco allora un breve riassunto della storia per rispolverare la memoria. L’orfano Heathcliff (Laurence Oliver), cresciuto presso gli Earshaw, una famiglia di coltivatori inglesi, s’innamora della loro figlia Catherine (Merle Oberon): Ma la relazione dei due ragazzi è osteggiata dal fratello di lei, Hindley, un uomo violento e alcolizzato. Così, sebbene Catherine ami Heathcliff, la sua ambizione la porta a sposare l’aristocratico vicino di casa Edgar Linto (David Niven), spingendo con il suo gesto Heathcliff a emigrare in America. Tre anni dopo Heathcliff, divenuto ricco e potente, ritorna con lo scopo di vendicarsi ed inizia il suo progetto sposando Isabel, l’ingenua sorella di Edgar. 
Il paesaggio caricato di stati d’animo, l’eroe tormentato ed una conturbante storia d’amore sono tre aspetti preponderanti sia nel libro, sia nella pellicola, che ci riportano immediatamente in un clima romantico. Heathcliff rappresenta, infatti, il romantico eroe titano, ipersensibile ed irrazionale, teso verso l’assoluto in un’ansia di libertà, che viene, però, inevitabilmente sconfitto dalla meschinità della società. Allo stesso tempo, le rocce rosse nella brughiera spazzata dal vento, rifugio eterno di Catherine e Heathcliff, diventano, come in un quadro di Friedrich o Turner, il luogo in cui l’individuo si immerge con lo spirito, alla ricerca dell’essenza divina della natura che avvolge l’universo. 
Attenendosi alle ferree regole delle Hollywood classica, gli sceneggiatori hanno, tuttavia, in parte addomesticato la selvaggia potenza contenuta nella pagine della Brontë in favore di immagini più eloquenti e patinate. Il risultato è, comunque, lodevole e la mano di Wyler, insieme alla fotografia di Gregg Toland (il mitico direttore della fotografia del capolavoro Quarto potere), emergono con chiarezza. Non per nulla, La voce nella tempesta risulta più vicina allo spirito del libro rispetto agli adattamenti cinematografici del testo, fatti nel 1970 da Robert Fuest e nel 1953 da Luis Buñuel. Il primo ci dà una versione troppo scolastica, mentre il seconda ci dà una messa in scena troppo debordante. Lo sceneggiato televisivo italiano del 1956 con Massimo Girotti e Anna Maria Ferrero con la regia di Mario Landi tende, invece, a smorzare i toni di un romanticismo cupo; mentre la fiction in due puntate con Alessio Boni e Anita Caprioli andata in onda nel 2004 è, al contrario, inficiata da un certo mieloso sentimentalismo familiare tipicamente televisivo.
Proviamo per un attimo a rivolgere la nostra attenzione all’opera complessiva di Wyler. Se i suoi più conosciuti Vacanze Romane e Ben Hur sono rimasti nell’immaginario filmico dello spettatore, i temi su cui ha lavorato costantemente il nostro cineasta sono, in realtà, ben più profondi. L’asse portante dei film di Wyler è, infatti, una situazione emotivamente complessa con personaggi contorti, indagati dal regista psicologicamente e socialmente, che vivono in un ambiente storicamente determinato. Pensiamo ai reduci della guerra de I migliori anni della nostra vita, alla scottante tematica dell’aborto in Pietà per i giusti e al rapporto lesbico fra le due insegnanti ne Quelle due (remake de La calunnia, datato 1936 e firmato sempre da Wyler), e siamo temporalmente solo nel 1951 e nel 1962.
Passando al cast, che dire della malia degli sguardi della coppia dei protagonisti? Merle Oberon è un trionfo di fulgida bellezza e giovinezza, come già era apparsa nel precedente Le sei mogli di Enrico VIII, trasformandosi nella più divina Anna Bolena mai vista sullo schermo e nel successivo Lydia, emblema di una femminilità che costruisce tutta la vita sulla passione d’amore. Il baronetto Sir Laurence Oliver (candidato al premio Oscar per questo ruolo) con il suo fare nobile e altezzoso ci regala una delle sue migliori performance giovanili (le altre saranno Orgoglio e pregiudizio e Rebecca la prima moglie). Non è escluso dagli elogi David Niven (Scala al paradisoIl giro del mondo in ottanta giorni e La pantera rosa sono i suoi film più famosi) che con il suo innato tocco di classe dà maggior brio al personaggio di Edgar, fin troppo lezioso nel romanzo. 
Nel dire buona visione, attendiamo che l’opera di Wyler venga presto rivalutata.
Giudizio (legenda).
di 
Maria Grazia Rossi.  13 giugno 2007.

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