mercoledì 18 febbraio 2009

MR.SMITH VA A WASHINGTON (di Frank Capra, 1939)

Si sa che il nome di Frank Capra è sinonimo di alti valori morali intrisi con una genuino ottimismo. Sostenitore ad oltranza del New Deal roosveltiano , il cinema del regista di origini siciliane è stato identificato dai suoi detrattori con un certo populismo e paternalismo conservatore. Tuttavia, se queste considerazioni possono eventualmente valere per le sue favole utopistiche (Signora per un giorno, Orizzonte Perduto, L’eterna illusione, La vita è meravigliosa, Angeli con la pistola), con la trilogia incentrata sull’uomo comune (E’arrivata la felicità, Arriva John Doe, Mister Smith va a Washington) la speranza dà gradualmente spazio a una cresciuta corrente di dubbio. 
In particolare, nel capolavoro Mister Smith va a Washington (candidato a undici premi Oscar e vincitore per la migliore sceneggiatura) Capra vede la società americana lacerata contemporaneamente da forze opposte di distruzione e rinnovamento, mentre il “buono” e il “cattivo” sono personificazioni delle stesse motivazioni. Andiamo con ordine. Il protagonista della pellicola è il giovane Jefferson Smith (un impareggiabile James Stewart), leader dei boy – scout del Montana, che viene scelto, proprio perché così naif, per completare il termine del mandato di un senatore deceduto inaspettatamente. Sebbene Smith non lo comprenda subito, il suo nuovo incarico l’ha fatto naufragare al centro della potente macchina politica di Taylor (l’attore Edward Arlond, il grande antagonista de L’eterna illusione e Arriva John Doe che con i suoi effetti di calcolata crudezza si assicura sempre la presa emotiva sullo spettatore), un potente uomo d’affari a cui appartengono non solo grandi parti delle industrie e dei media, ma anche dei politici, tra cui il personale eroe di Smith, il senatore Joseph Paine (un Claude Rains intenso come non mai). Taylor si aspetta che prima o poi Smith cada nelle sue fila, ma sarà una previsione errata. Quando Smith propone al senato di finanziare un campo nazionale per ragazzi nello stesso sito dove Taylor progetta di costruire una diga, il nostro protagonista si scontra con il gruppo politico. Taylor offre a Smith una carriera nel senato per la vita, se voterà a favore della legislazione che autorizza la diga, ma il giovane senatore, scioccato dall’offerta di Taylor, rifiuta di compromettere i suoi ideali. Eseguendo gli ordini di Taylor, Paine presenta false prove che accusano Smith di aver comprato la terra destinata al campo per i suoi profitti personali e propone la sua espulsione dal senato.
Il mondo sembra, così, aver perso il suo centro morale e Smith sente il peso della slealtà che si è abbattuto sopra di lui. Prima di lasciare Washington, visita il Memoriale di Lincoln (ora scuro e immerso nell’ombra, in contrasto alla sua prima visita quando era proiettato in un’eterea luce bianca). Mentre siede solo, è sorpreso da Clarissa Saunders (Jean Arthur), la sua segretaria al senato. Come le altre eroine della trilogia sull’uomo comune (Barbara Stanwyck ne Arriva John Doe e sempre Jean Arthur ne E’ arrivata la felicità), Saunders inizia il film come una cinica mercenaria che immediatamente taccia l’eroe di ipocrisia e cerca di disilluderlo dai suoi propositi “buonisti”; ma di fronte alla sua intensa grandezza d’animo a poco a poco si converte totalmente a supportarlo nei suoi ideali. La protagonista femminile convince Smith che lasciare Washington senza lottare rappresenta una pericolosa vittoria per la macchina politica corrotta dal momento che l’uomo ha responsabilità non solo verso se stesso e i ragazzi che lo considerano un modello, ma anche verso l’intero concetto di democrazia sfidato da Taylor. 
Guidato da Saunders, il paladino di Capra va in battaglia. Fa ostruzionismo contro il progetto di legge di Taylor, sperando di informare i membri costituenti del Senato che l’uomo con i suoi meschini affari sta abusando delle loro libertà democratiche. Di conseguenza, la sua inevitabile espulsione dal senato avrà la funzione di una sorta di purgatorio che lo forgerà per le future battaglie che lo aspettano. 
Naturalmente, come in tutte le pellicole firmate da Capra (tranne L’amaro tè del generale Yen) l’happy end ci sarà, sebbene la vittoria non sia fine a se stessa. Perciò, dobbiamo andare più in là del trionfo realizzato da Smith e partire dalla sfaccettata caratterizzazione di Paine, scisso fra la sua freddezza calcolatrice e nobili sentimenti. A ben guardare, il film si concentra più sulla crisi di Paine che su Smith. Infatti, sappiamo che Paine è diventato adulto con la stessa fede democratica di Smith, ma, poi, l’assassinio del padre di Smith, il migliore amico dello stesso Paine, ha modificato le sue convenzioni: risolutezza e fermezza sono inutili in una società irrimediabilmente disonesta e la lotta individuale non ha speranza di opporsi. Così, Paine ha preferito compromettersi per potere servire lo Stato in mille altri modi onesti. A questo proposito, può essere indicativo il colloquio fra Taylor e Paine dove quest’ultimo indietreggia con uno sguardo spaventato e un’andatura sussultante e incerta davanti agli ordini di Taylor che, invece, domina al centro dell’inquadratura. Comunque, Smith, come tutti gli altri eroi caprini, da Longfellow Deeds a George Bailey, è un poeta del cuore e, quindi, per lui Paine non ha fatto altro che vendere la sua anima a Taylor, diventando il paradigma di quello che avrebbe potuto essere lo stesso Smith, se avesse accettato l’allettante offerta di Taylor. 
D’altra parte, non dobbiamo mai dimenticare che, alla medesima maniera di altri autori del cinema classico, quali Alfred Hitchcock e John Ford, le tematiche di Capra sono sostenute da una profonda fede cristiana. Appare, così, più facile capire come mai per il regista italo – americano il passivo idealismo vale tanto quanto il più abbietto cinismo e gli ideali devono essere costantemente e vigorosamente difesi, mentre allo stesso modo perdere la fede è il più grande errore che si possa fare. Vogliamo concludere ricordando l’analisi che Leonardo Gandini ha compiuto su Frank Capra. Secondo lo studioso, per il regista dirigere un film significa orchestrare in maniera fluida un racconto per immagini, di modo che questo risulti originale e interessante grazie soprattutto a una galleria di figure e situazioni capaci di attirare il pubblico. 
Un doveroso consiglio finale: se non siete in vena di buoni sentimenti e satire al latte e miele, astenetevi dal frequentare la filmografia di Frank Capra. Come sempre tutto il segreto sta ad intendersi. 
di Maria Grazia Rossi, 6 dicembre 2006.     

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