domenica 1 marzo 2009

CLEOPATRA (di Joseph Leo Mankiewicz, 1963)

Se siete amanti dei grandi classici, dovete riscoprire l’epico Cleopatra di Joseph Leo Mankiewicz, conosciuto come l’ultimo e il più famoso kolossal della Hollywood classica. Le dispendiose vicissitudini legate alla lavorazione de film hanno, infatti, portato la Twentieth Century Fox, la casa di produzione del film, sull’orlo del fallimento. In questo senso Cleopatra ha rappresentato un fenomeno mediatico ante litteramdell’era della globalizzazione. Ma vediamo più in dettaglio la complicata genesi della pellicola.
Nel 1958 il produttore Walter Wanger in collaborazione con il presidente della Fox, Spyros Skouras, progettò l’idea di una pellicola sulle vicende della “Sirena Del Nilo” e della magniloquente Antica Roma con la speranza di riportare agli antichi fasti la Major americana, in netto declino dopo che l’avvento della televisione negli anni Cinquanta aveva galvanizzato le platee domestiche. E chi meglio della divina “ragazza dagli occhi viola”, ovvero Elizabeth Taylor, poteva trasformarsi in Cleopatra? Per l’attrice si stipulò un compenso di un milione di dollari, un record per allora, e al contempo si decise di ricreare l’Antico Egitto negli uggiosi studi londinesi di Pinewood, il tutto coordinato dalla regia di Rouben Mamoulian, famoso autore di struggenti melodrammi. Fu l’inizio della fine per la Fox. La fitta nebbia e la pioggia costante resero poco credibile l’Inghilterra come scenario dell’Antico Egitto e soprattutto non giovarono alla fragile salute della Taylor che si prese una grave meningite, motivo per cui le riprese furono interrotte per parecchi mesi, facendo salire alle stelle il budget iniziale dei costi. Il povero Mamoulian non resistette a tanta tensione e lasciò il set nel gennaio del 1961, seguito dopo poco dalle dimissioni di Stephen Boyd e Peter Finch, rispettivamente Antonio e Cesare. La Fox decise, allora, sia di spostare la location nella solare Roma, sia di sostituire Mamoulian con il raffinato Joseph L. Mankiewicz, ideatore di un cinema essenzialmente teatrale, che scelse Richard Burton e Rex Harrison nei ruoli dei protagonisti maschili. La lavorazione fu sospesa ancora una volta quando nel marzo del 1961 la Taylor si ammalò di polmonite ed alcuni giornali dichiararono la sua presunta morte. Così, mentre Liz si riprendeva, Mankiewicz rivedeva la sceneggiatura, cercando di fondere il gigantismo degli effetti visivi con una riflessione sul personaggio di Cleopatra. Il regista non voleva fare della donna un’impertinente civettona, come aveva fatto Cecil B. De Mille con Claudette Colbert nella versione precedente nel 1934, ma mostrare una temeraria Cleopatra che sa risvegliare le ambizioni di Cesare (Rex Harrison) ed incitare all’azione un frustrato e debole Antonio (Richard Burton). Mankiewicz aveva scelto di dividere l’intera storia in due diversi film; nel primo adottò un clima da commedia sofisticata con dialoghi lucidi e brillanti prendendo come traccia il Caesar and Cleopatra di George Bernard Show; nel secondo plasmò un’intensa love story rifacendosi al melodrammatico Antonio e Cleopatra di William Shakespeare.
Oltre alla sceneggiatura di Mankiewicz, va all’attrice Elizabeth Taylor il merito dell’insistenza del punto di vista femminile in una pellicola dai marcati tratti epici. Già utilizzata da Mankiewicz in Improvvisamente l’estate scorsa, la Taylor con Cleopatra dimostra un’altra volta le sue vincenti capacità attoriali, riuscendo, senza rinunciare mai alla sua prepotente sensualità, a passare da donna d’azione, indomita e volitiva a donna innamorata e irrazionale che intravede solo il versante fantastico in  un mondo ordinato e preciso.
Purtroppo, per contenere le allarmanti dissipazioni della produzione, il presidente Darryl F. Zanuck, il sostituito di Skouras alla direzione della Fox, decise in fase di montaggio di assemblare tutto il materiale girato in un’unica pellicola, riducendo la durata globale del film a quattro ore. Dunque, Mankiwicz rimase escluso dal final cut e purtroppo Cleopatra subì la stessa sorte del capolavoro del muto di cui non ci resta che lo scheletro, Greed di Erich von Stroheim, orribilmente mutilato dalla MGM che la riduce dalle nove ore e mezza della versione originale ad appena cento minuti. 
Ci si augura che la visione da parte delle nuove generazioni di cinefili, possa forse, risarcire la poetica femminile di quello che in molti considerano un capolavoro decapitato.
Giudizio  (legenda).
di 
Maria Grazia Rossi.  16 Novembre 2007.

1 commento:

  1. ANTONIO E CLEOPATRA RINGRAZIANO E SPERANO
    UN GIORNO NELLA RIVINCITA SU OTTAVIANO CHE
    L'AMORE E LA GIUSTIZIA TRIONFINO.
    "L'ALTRA NOTTE NON C'ERI TI HO ASPETTATO"
    CLEOPATRA

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