Un film di magia e cannibalismo. Una storia di traumi rimossi e poi riportati a galla, in una Roma notturna popolata di personaggi inquietanti, con una punta di grottesco a condire il tutto.
Se non fosse per alcuni dettagli del decòr palesemente invecchiati, potremmo tranquillamente affermare che il film d’esordio di Francesco Barilli è un’opera senza tempo, che regge benissimo il confronto sia con i classici dell’epoca che con i nuovi cult dello psyco-horror: a metà strada fra il thriller e la fiaba dark, Il Profumo della signora in nero è una pellicola dcisamente insolita nel panorama del cinema di genere italiano; Barilli costruisce un’atmosfera fortemente allucinata, contiene il gore a livelli minimi rispetto al modello argentiano imperante - e forse questo può deludere i fan del genere - e si inventa uno dei finali più agghiaccianti mai visti in un film italiano.
La regia utilizza trucchi semplici ma efficaci, i movimenti di macchina sono sinuosi e complessi, e riescono a far dimenticare anche qualche buco di sceneggiatura: peccato soltanto la scelta dell’attrice protagonista, un’insipida Mimsy Farmer, che non fa altro che strillare e sgranare gli occhi per tutto il film, l’unica stecca di un ottimo cast di caratteristi e di volti inconsueti, tra cui emerge l’inimitabile Mario Scaccia, più che una spalla, una garanzia di “cultismo” del cinema bis italiano.
Giudizio: (legenda).
di Giulio Ragni. 17 ottobre 2007.
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