domenica 19 aprile 2009

BLACK BOOK (di Paul Verhoeven, 2006)

Al nome di Paul Verhoeven, la prima parola che viene in mente è provocazione. Sin dai suoi primi film olandesi infatti, così come per le pellicole filmate ad Hollywood, questo regista si è caratterizzato per la sua ambiguità e il suo anticonformismo, risultando spesso, agli occhi di una certa critica vecchio stampo, irritante, volgare, erotomane, sadico, nazista.
Con Black Book Verhoeven torna in Olanda per firmare un episodio poco noto della Resistenza, durante la Seconda Guerra Mondiale: lo scandalo del film sta nel mostrare nazisti non soltanto come cattivi da fumetto, ma anche capaci di amare ed essere generosi con i propri nemici; in una parola, “buoni”. E se a questo aggiungiamo che la Resistenza si macchia di crimini analoghi ai feroci tedeschi, et voila, ecco a voi le immancabili discussioni. Ma al di là delle polemiche fini a se stesse, allo spettatore Verhoeven consegna un thriller spionistico di buona fattura, dal solido impianto narrativo e con una protagonista eccellente, Carice Van Houten, una scoperta per il pubblico internazionale, nella parte della spia infiltrata tra i tedeschi. Dall’apprendistato hollywoodiano il regista acquisisce la capacità di tenere inchiodata l’attenzione del pubblico, principalmente attraverso un montaggio mozzafiato: qua e là si intravedono cedimenti spettacolari che inevitabilmente fanno pendere il film sul versante della superficialità, a scapito della compattezza e dell’analisi storica. Ma è altresì vero che il cinema di Verhoeven sa guardare (letteralmente) più in basso degli altri, affrancando il film dalla sensazione di deja vu: quanti avrebbero osato girare una scena come quella della decolorazione dei peli pubici? Verhoeven si sporca le mani con materiali bassi per puntare in alto, e a confermarlo potremmo citare certi picchi splatter del finale, o la controversa – e a tratti insostenibile – sequenza delle umiliazioni che la protagonista deve subire dai suoi compagni a guerra finita, credendola una doppiogiochista. Un pugno allo stomaco che non lascia indifferenti, che è poi la vera mission del cinema verhoeviano, essere memorabile, esistere, nella sua incombente e viscerale drammatizzazione.
Giudizio½  (legenda).  
di Giulio Ragni, 9 marzo 2007.

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