lunedì 6 aprile 2009

GANDHI (di Richard Attenborough, 1982)

Questo splendido film su Gandhi uscito nel 1982 è stato pluripremiato con ben nove oscar: miglior film, miglior regia, miglior fotografia, migliore attore (Ben Kingsley), migliori costumi, migliore sceneggiatura originale, miglior scenografia, miglior sonoro, miglior montaggio; e con tre David di Donatello: migliore produttore straniero (R. Attenborough), miglior film straniero, e il David Europeo. 
Buoni anche i giudizi da parte della critica più vicina all’editoria giornalistica. 
Il film è un po’ datato, ma nonostante nello stile mostri alcune espressioni stilistiche vetuste, mantiene intatto il suo fascino di film d’archivio, un’opera con caratteristiche didascaliche. La pellicola ha numerosi contenuti storici e politici, utili anche per un primo studio elementare dei rapporti coloniali tra India e Inghilterra. Tuttavia Richard Attenborough è più famoso come regista letterario; la storia gli interessa più come occasione per affreschi biografici. Nel campo di quella che viene, con consuetudine, chiamata scrittura cinematografica colta è facile trovare sul suo conto ottimi giudizi critici. Scrive con la macchina da presa come uno scrittore con la penna mantenendosi quindi, per alcuni aspetti di tecnica di regia, nel solco della scrittura della Nouvelle vague. Ricordiamolo in Magia (1978), Viaggio in Inghilterra (1993), Amare per sempre (1996), Gufo grigio (1998). 
In Gandhi Attenborough supera se stesso, sia per una notevole precisione storica dei particolari, cosa che fa pensare ad un impegnativo e forse straordinario studio sull’argomento, che per la credibilità visiva ed espressiva che animano le scene dei personaggi protagonisti. Nel film domina un eccezionale Ben Kingsley, un attore che oltre ad essere bravo e ad assomigliare moltissimo al vero Gandhi è riuscito a calarsi nel ruolo affidatogli con grande sensibilità umanistica: tanto da superare mirabilmente anche tutti gli aspetti tecnici che il copione richiedeva. Notevole nell’opera di Attenborough la fotografia. Essa accompagna fedelmente l’andamento emotivo contenuto nella sceneggiatura rafforzandolo con colori e luci molto variabili e sempre pertinenti alle scene. Colori ricchi di sfumature che ben si coniugano con le principali pieghe drammatiche che la pellicola prende nei punti più significativi del racconto. Da lodare poi gli intrecci narrativi: avvincenti e costruiti in forte tensione drammatica.
Il film appare del tutto privo di quelle pause-azioni che servono nelle pellicole commerciali a ricaricare le cosiddette pile scariche dello spettatore, per prepararlo alle scene che si approssimano a sequenze di alta tensione. Le pause-azioni sono viste da Attenborough in negativo, come se fossero espedienti rischiosi per la scorrevolezza narrativa e a volte anche responsabili di certi veri e propri zoppicamenti della scrittura. In Gandhi le costruzioni e le trovate narrative da spettacolo sono minime. Il regista mette l’accento sui contenuti tematici del film: che già di per sé favoriscono una grande attenzione. Temi che, grazie anche a un dialogo parlato ben in equilibrio nella durata dei tempi con il linguaggio visivo, non annoiano ma risuonano nella mente dello spettatore con più forte intensità espressiva. 
La sceneggiatura ha uno stile ad andatura prossima al documentario, con intrecci narrativi semplici e poco romanzati, l’aspetto letterario risiede soprattutto nella forma di ripresa delle immagini. Attenborough riesce a dire molto in un tempo relativamente breve, grazie a una scrittura che dopo un lungo lavoro ha trovato i termini più precisi per comunicare. Il regista trasmette ricchissime pagine di scrittura visiva su uno sfondo di atmosfera romantica, deliziando lo spettatore di particolari minuziosi su cui la macchina da ripresa indugia con sapienza ritmica.
Il film è la storia della sofferta lotta degli indiani (divisi in indù e mussulmani) per l’indipendenza dall’Inghilterra. La biografia su Gandhi entra in gioco solo ogni qualvolta può spiegare meglio il senso specifico della storia legata alla liberazione dallo straniero. 
L’india conquista l’indipendenza il 15 Settembre del 1947 e ciò coincide con lo scioglimento dell’ex impero britannico. A causa della violenza separatista dei mussulmani capeggiati da Jinnah si dividerà provvisoriamente in due stati: l’India di religione a prevalenza induista e il Pakistan di religione mussulmana. La guerra Indo-pakistana costerà moltissimi morti: forse più di un milione. Essa porrà fine alla tattica della non-violenza di Ghandi che sembrava ormai a pieno titolo far parte della filosofia di vita del popolo indiano e che tanto successo aveva avuto nella lotta per l’indipendenza. Nel 1971 all’Unione Indiana e al Pakistan si aggiungerà lo stato del Bangladesh1. Quest’ultimo nascerà da una parte del Pakistan.
La pellicola abbraccia un arco di tempo molto lungo che va dal 1893, data di inizio dell’attività politica di Gandhi in Sud-africa, al 1948 anno che vede (il 30 Gennaio) la sua morte per attentato. Un assassinio che avviene ad appena quattro mesi dalla sofferta indipendenza dagli inglesi. Il delitto è compiuto con diversi colpi di pistola per mano di un fondamentalista indù: Godse. 
Poche le date prese in considerazione da Attenborough, ma molto significative. Importante il 1893 in cui risulterà decisiva per i riflessi che avrà sulla vita da rivoluzionario di Gandhi la sua prima esperienza vissuta da avvocato all’estero. Appena laureatosi in legge Gandhi si reca per lavoro nel Sud- Africa.
In quel paese, dominato dagli inglesi, l’avvocato indiano fa conoscenza sulla propria pelle delle forti discriminazioni razziali in atto verso la gente di colore. Una di queste riguarda la separazione coatta delle persone di colore dai bianchi presenti nei vagoni dei treni. Nelle carrozze gli indiani non possono viaggiare in prima classe, ma solo in terza. Gandhi subisce proprio in uno scompartimento di prima classe, che lo sta portando a destinazione, la prima grave umiliazione razzista: un trauma forse decisivo nel determinare le scelte che farà in futuro.
Gandhi viene preso di mira dal controllore inglese del treno per via dei suoi tratti somatici indiani e invitato decisamente a passare in terza classe. Nonostante avesse un regolare biglietto, dopo vane e reiterate proteste viene violentemente scaraventato fuori dalla carrozza finendo malamente sul marciapiede della stazione. Tutto ciò avviene solo perché Gandhi è di origine indiana e prossimo a diventare un piccolo borghese. Un altro giorno mentre cammina su un marciapiede della città vede venirgli incontro due lavoratori inglesi dall’andatura sfidante e dagli sguardi arroganti, sono assolutamente non disposti a scostarsi nel momento dell’incontro con Gandhi per consentire il reciproco passaggio. I due inglesi dopo pesanti ingiurie razziste gli ingiungono brutalmente di togliersi di mezzo. Solo l’intervento della madre di uno degli inglesi eviterà che la situazione degeneri in uno scontro fisico. In Sud-africa solo ai cristiani inglesi era concesso camminare sui marciapiedi: una discriminazione di tipo razzista che ricorda quella attuata dai nazisti nei confronti degli ebrei. 
Molto praticata in Sudafrica era anche la schedatura attraverso le impronte digitali. Veniva attuata nei confronti dei cittadini considerati un po’ diversi. Il fine era di scoraggiare gli abitanti sospetti dal commettere trasgressioni: sia quelle più legate al potere che quelle in rapporto con le ordinanze pubbliche inglesi. Dimostrando di essere in grado di identificare velocemente il colpevole gli inglesi contavano di prevenire gran parte dei reati. La violenta politica inglese dell’ordine prevedeva anche azioni programmate di tipo vessatorio-fisico opportunamente studiate; le vittime erano i gruppi più isolati della gente di colore o le persone deboli e indifese. Queste iniziative davano la sensazione agli abitanti di una presenza e un controllo costante delle autorità sul territorio e sulla loro vita. La posta in gioco era in fondo il mantenimento di un’immagine dell’Inghilterra molto forte e quasi vicina al terrore: comunque autoritaria e potente.
Da antologia cinematografica, per drammaticità e suspense filmico, la scena della famosa strage di Amritsar del 13 Aprile del 1919. Gli indiani dopo aver ottenuto con la non violenza alcune importanti vittorie subiscono la reazione violenta dell’esercito inglese. Questi ultimi decidono di passare all’offensiva con il generale Dyer. Noti i fatti: durante un raduno di indiani per una conferenza politica tenuta da un leader politico che propaganda l’indipendenza, il generale inglese ordina al suo battaglione di sparare sui partecipanti: all’altezza del cuore. I militari inglesi si erano schierati silenziosamente alle spalle di una folla di oltre 14.000 persone. Vergognosamente il generale non dà prima della sparatoria alcun ultimatum. Muoiono circa 400 indiani, più di mille persone vengono ferite tra queste molti bambini che non verranno mai soccorsi. Un gesto folle, controproducente, dettato da una forte emotività razzista che isolerà sempre più nel mondo gli inglesi. Una tragedia che farà conoscere al mondo il vero volto degli inglesi, quello di sfruttatori e razzisti, cinici esecutori di una politica estera basata sulla menzognera propaganda dell’esportazione della civiltà. Ogni soldato inglese si sentiva investito di un compito superiore al mero fine di contribuire allo sfruttamento delle risorse indiane. L’orgoglio di esportare cultura e senso civico in paesi ritenuti depressi e incivili dava loro una durezza espressiva eccessiva, permeabile facilmente al desiderio di follia omicida, questo ultimo è notoriamente sempre ben presente nei meandri psichici di chi detiene il gioco del potere.
Colossale e insuperabile per numero di comparse la scena dei funerali di Gandhi. Oltre 280.000 le persone coinvolte. Un vero e proprio omaggio dell’India, attraverso il media film, alla memoria del grande rivoluzionario scomparso.
Giudizio (legenda).
di Biagio Giordano. 18 febbraio 2008.

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