domenica 19 aprile 2009

LA TIGRE E LA NEVE (di Roberto Benigni, 2005)

"PIATTO" - Dopo il successo de "La vita è bella" e il flop di "Pinocchio", Roberto Benigni prova con "La tigre e la neve" a ritrovare gli equilibri del film che gli valse tre Oscar, questa volta ambientando le vicende nella recente guerra in Iraq. Il protagonista della storia è un poeta, Attilio (Benigni), padre di due figlie. Il suo amore profondo verso Vittoria (Braschi), lo porta in Iraq in piena guerra dove la donna si trova in stato di coma a causa di un incidente bellicoso. Qui trova un collega, Fuad (Reno); i due nonostante l' amicizia che li lega, hanno opinioni contrastanti se non opposte sull'esistenza umana. Da questo momento Attilio si impegnerà nel salvare la vita della donna amata. "La tigre e la neve" è un film non riuscito in cui Benigni, nonostante il tentativo, non riesce a ripetere gli schemi de "La vita è bella" e realizza una pellicola superficiale e incongruente. Il tentativo di realizzare un film sulla poesia, di per se interessante, sfocia in realtà in citazioni fini a se stesse e del tutto prive di profondità o di interesse letterario e cinematografico. Il film non è e non crea poesia, semplicemente la cita. Le vicende narrate da Benigni, inoltre, sono del tutto prive di congruenza e di sensibilità nel loro svilupparsi. La mancanza di sensibilità, ancor più accentuata dall'atteggiamento egocentrico se non egoista del regista/protagonista, sta nel rappresentare una guerra moderna e piena di contraddizioni, senza porre alcuna attenzione su coloro che questa guerra l'hanno vissuta in maniera drammatica. Se l'espediente del gioco ne "La vita è bella", poteva in parte giustificare alcuni atteggiamenti semplicistici, qui l'artifizio del "poeta disattento" non funziona ed anzi alla lunga diventa inaccettabile. In generale, inoltre, la storia non coinvolge e gli spunti comici piazzati qua e là non solo sanno di già visto ma soprattutto non divertono. I due protagonisti, piuttosto piatti nelle loro psicologie, sono poco interessanti e difficilmente si prova empatia per loro. Anche la figura di Fuad, che a priori poteva essere molto interessante nella sua visione pessimistica della vita, è in realtà una delle meno riuscite a causa del profondo strato di superficialità che circonda tutto il film. Anche le recitazioni, se si esclude lo stesso Benigni (che del resto interpreta "se stesso"), non sono convincenti e Jean Reno sembra essere, in più di una circostanza, fuori ruolo. Deludente anche la colonna sonora di Nicola Piovani, che così come il regista, ha cercato di avvicinarsi il più possibile allo score con il quale vinse l'Oscar, ma anche in questo caso ne esce fuori qualcosa di già sentito. "La tigre è la neve" è dunque un film che non convince in nessun aspetto, forse sarebbe preferibile che un personaggio dall'inequivocabile carisma come Benigni, uscisse da quell'alone dorato di grandezza che lo circonda, per ritrovare uno spunto, magari anche meno impegnativo, che potrebbe rilanciarlo.   
()
di Salvatore Scarpato, 23 ottobre 2005.

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"DICHIARAZIONE d'AMORE" - Un lungo viaggio da Roma a una Baghdad in guerra nella viva speranza di poter aiutare a guarire la moglie morente. E' un amore straripante, devastante, vincente quello che Benigni - uomo, attore e personaggio - canta in questo suo nuovo film. E' amore, è continua fiducia e speranza in quell'amore, è fiducia che quell'amore possa vincere tutto, ogni cosa, anche la più brutta. Che sia un conflitto, una malattia o uno sterminio, affrontandola col sorriso, con la gioia, l'entusiasmo, l'allegria e anche un po' di ingenuità, la serenità è più vicina. Una favola, d'accordo, ma allo stesso tempo una reale e benefica rivalutazione di quella magnifica cosa che è il Sorriso. Citazioni di Hikmet, brani di musiche diverse, poeti e animali in sogno: tutto per rendere più grande questa lunga, nuova, dichiarazione d'Amore alla Vita di Roberto Benigni. Si sorride, si ride, ci si commuove, si riflette. Straordinaria immagine è la testa di Attilio (Benigni), recluso in un campo di prigionia americano in Iraq, che scivola e s'accomoda sulla testa di un uomo arabo dai pochi denti e la barba di qualche giorno. Siamo tutti uguali. Ricchi e poveri, neri e bianchi, giovani e meno giovani. Non dovrebbe essere solo la guerra, il pericolo della morte, a ricordarlo. Benigni ci riesce regalando questo indimenticabile momento. 
(½)
di Matteo Bursi, 3 novembre 2005.

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"FEL(L)IN(IAN)O" - Con altre leggi, senza ironia la sua firma è Benigni e questa volta lo segna con zampa fel(l)in(ian)a. Non si cerca di capire il perchè degli avvenimenti, rischiando di cadere in quell'abisso ipocrita ed ipocondriaco del giudizio ma lo si racconta, lo si narra come una preghiera, perchè non lo si desidera o perchè lo si fa sognando? 
La tigre e la neve rivela e fa riemergere solo alla fine quel già di aspettato a metà della narrazione, con la stessa finta ingenuità fanciullesca.
E la poesia non c'entra? I film di Benigni non sono più poetici, di poesia ci si contorna solo la pellicola e quel nastro argenteo che colora di nominations, di poesia ci si tuffa solo descrivendo il protagonista Attilio con i suoi sogni d'amore, d'unione, di reciproco desiderio che richiama quel gusto da satyricon, nobile di interrompere il flusso di finta e (a volte si vorrebbe che fosse così), teatrale compassione nei confronti di un conflitto. 
La poesia entra in ballo, ballando col suo stesso firmatario, non solo dentro il film ma anche nel suo farsi, nel suo fuori. 
Come Attilio spiega ai suoi studenti il come (fare poesia, essere poeti o solamente-ed è poco?- essere ed esserlo-Poesia-), La tigre e la neve sono debitrici e profane di spiegarne,svelarne,sbiancarne il perchè, anche se questo era, in un primo tempo sentimento ed insieme significato appeso ad una corda, come un amico sentito e richiamato improvvisamente dall'istinto di repressione (anche artistica se la si comprende), ed insegu(ì)to e portato, come dallo stesso vento d'inquadrature, rinchiuso in una gabbia o nuvola di ... che solo Vittoria alla fine poteva incontrare.
Un film-continuazione che aspetta anche la nuova stagione e Storia cinematografica piena di ironia, "buon"senso e gusto cinico ma "benignano".
di Denise Spinelli, 5 dicembre 2005.

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