"INTENSO" - Questione di stile. Ingiustamente snobbato dalla giuria all’ultima Mostra di Venezia, Lady Vendetta è la conferma che, più che nelle storie che si raccontano, è nella maniera di raccontare, che si gioca la sfida determinante per il linguaggio cinematografico; e di stile il regista coreano Park Chan –Wook ne ha da vendere.
Capitolo conclusivo di un’ideale trilogia sulla vendetta dopo Mr.Vendetta (recuperatelo assolutamente in DVD) e Old Boy, anche in Lady Vendetta a dominare sono segreti insopprimibili e nemesi ancestrali, seppure tutto sommato in modo meno truculento di quanto ci si potesse aspettare, forse perché stavolta il regista ha adottato un punto di vista femminile. La “dolce” Guem-Ja, analogamente al Taesu di Old Boy, deve affrontare un lungo percorso di prigionia, prima di veder soddisfatta la propria sete di vendetta nei confronti di un professore, che l’ha costretta ad assumersi la responsabilità di un omicidio. Dei tre film Lady Vendetta è il più formalista, in un certo senso il più tarantiniano, dove la trama eccessivamente scarnificata è un pretesto per un grande contenitore barocco e iperrealista, in cui il regista si diverte a mescolare efferatezze e humour nerissimo. Ma rivela un’abilità compositiva nelle immagini che non ha eguali, in cui tutti gli elementi, dal taglio delle inquadrature agli angoli di ripresa deformati, dalle splendide musiche al vertiginoso montaggio, concorrono alla perfezione estetica della pellicola. Il climax del film è nell’intensissima, insostenibile sequenza della vendetta collettiva, dove il regista sembra cercare la complicità giustizialista dello spettatore, salvo poi prenderlo di nuovo in contropiede (emblematica in tal senso la scena dello spuntino notturno): ciò che differenzia Guem-Ja dai predecessori è una pallida redenzione che sem-bra far capolino nell’allegorica sequenza finale, laddove in passato un destino funesto accoglieva nel suo abbraccio vittime e carnefici, egualmente peccatori e dannati.
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½)


½)di Giulio Ragni, 22 gennaio 2006.

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