Alberto Cavallone rappresenta uno dei casi più clamorosi di rimozione collettiva del nostro cinema: il geniale regista milanese è stato infatti uno degli autori più estremi e problematici del suo tempo, volutamente borderline come pochi altri – vengono in mente Romano Scavolini e Alberto Grifi – nei confronti dell’industria, condannato ad un’invisibilità mediatica totale (poco o nulla si trova della sua filmografia in dvd).
Spell (Dolce Mattatoio) è probabilmente il suo film migliore, un manifesto anarcoide contro il moralismo, le ideologie, la mercificazione del corpo femminile, che privilegia una libera associazione di immagini ad un lineare sviluppo narrativo, un oggetto ricco di inquietudini e visioni disturbanti e scioccanti, ma non certo fini a se stesse. In un paesino della Val Padana, durante una festa di paese, assistiamo alle vicende di numerosi personaggi, tratteggiati con poche, efficaci pennellate: ma a Cavallone non interessa “raccontare” una storia, e lo spettatore assiste ad un sabba indemoniato di immagini allucinate ed ermetiche, accompagnate da musiche sperimentali, che citano George Bataille e il Marchese De Sade, tra Buñuel e Pasolini, avanguardia e serie B, religione e paganesimo, erotismo malato e delirio surrealista.
Un film certo non per tutti i gusti ma che non vuole assolutamente essere conciliante, un estremo singulto di libertà per quella che all’epoca era la cinematografia migliore del mondo.
Conosciuto anche col titolo L’uomo, La donna e La bestia.
Giudizio: 

(legenda).



di Giulio Ragni. 15 marzo 2008.
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