mercoledì 18 febbraio 2009

UN CHIEN ANDALOU (di Luis Bunuel, 1929)

Può un film, o peggio, un cortometraggio di un quarto d’ora, essere “cattivo”? Può un regista, o peggio, un artista, decidere di aggredire con violenza l’occhio e il cervello del suo fruitore con piena consapevolezza e volontà? Scordatevi i vari Quentin Tarantino, Enigmista, Dario Argento e i deliri di onnipotenza voyeuristica di Mel Gibson, dei quali comunque questo film è il diretto antenato. Colpire al cuore lo spettatore significa sconvolgerne la mente, afferrare i suoi pensieri e mescolarli, scompaginarli, ingarbugliarli fino a ridurli ad un groviglio inestricabile di sensazioni (ricordi?) e supposizioni. 
Il primo cortometraggio che Luis Buñuel realizzò con la collaborazione del suo recente amico, uno dei più grandi Surrealisti, Salvador Dalì, si compone di una serie di immagini, potremmo dire mentali, ordinate in una sequenza di quindici minuti durante la quale, proprio come se avesse fissato un quadro surrealista, lo spettatore viene afferrato dalla sua (troppo) comoda posizione e scaraventato in un mondo di cui non comprende le regole, e il cui unico scopo è sconvolgerlo, scombussolarlo. Egli tenta di capire, di ricucire i frammenti del mosaico, ma qualcosa inevitabilmente ne stravolge le riflessioni, qualcosa fugge il suo posto. 
La critica ha visto Un chien Andalou (lett. Un cane Andaluso) come una provocazione anticlericale e antiborghese (si veda anche Il fascino discreto della borghesia), ma io la definirei più che altro una provocazione allo spettatore e al cinema tutto (e ricordiamo che erano ancora gli anni del muto): nella prima scena, la più famosa, in cui un uomo (Buñuel stesso) taglia l’occhio di una donna con un rasoio, questa provocazione viene annunciata al fruitore, il cui occhio e il cui pensiero vengono simbolicamente, appunto, “tagliati”, dall’incomprensibilità delle scene.
Una provocazione che negli anni della sua nascita non venne mai capita: infatti L’âge d’or, il film che seguìUn chien Andalou, fu ritirato dalla polizia nel giorno della sua prima proiezione in seguito alla distruzione dello Studio 28, dove veniva proiettato, da parte di un gruppo di giovani estremisti di destra. Il sovvertimento di ogni autorità, reale o semplicemente mentale, ha sempre trovato degli ostacoli, che però non hanno mai fermato le paranoie di Dalì o la violenta protesta di Buñuel. Una genialità che si cercò di asservire a un partito e a una politica, ciò che i Surrealisti tentavano disperatamente di evitare. 
Disperata è la ricerca che lo spettatore si ritrova suo malgrado ad affrontare, terribile lo smarrimento che si prova di fronte a queste immagini. Come in un sogno di quindici minuti, ci si sente in balia di un’autorità superiore, quasi divina, e paradossalmente, nello stesso tempo, privi di qualsiasi ordine e ragione. Come capire Un chien Andalou? Come capire un quadro Surrealista? 
Lo spettatore si ritrova in una posizione non parzialmente ma completamente attiva, di fronte ad una serie di scene come “buttate lì” e alla necessità istintiva di spiegarle, di razionalizzarle. Una necessità che viene sistematicamente negata, stravolta. 
Sì, il cinema può essere “cattivo”.
GiudizioNon do un voto a questo film, perché sarebbe impossibile. Inoltre, correrei il rischio che Buñuel resuscitasse e mi venisse a cercare per aver ingabbiato il suo cortometraggio nelle regole del “bello” e del “brutto”.
di 
Chiara Palladino.  5 settembre 2007.

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