mercoledì 25 marzo 2009

AMORE E GUERRA (di Woody Allen, 1975)

La letteratura russa vista da Woody Allen non poteva che dare origine, per sua stessa definizione, a un risultato straniante. Bisognerebbe essere esperti di letterature comparate (e la sottoscritta non lo è) per fare un’analisi approfondita, ma per fortuna non occorre conoscere a menadito l’opera di Dostoevskij per comprenderne la meravigliosa parodia, tutta imperniata della “filosofia” di Allen, che con questo sistema riuscirebbe a renderci estraneo (e “strano”) perfino un Manzoni.
È chiaro che senza una traccia che rimandi a qualcosa di più profondo, in questo caso appunto la letteratura russa, non sarebbe stato possibile per Allen realizzare una così compiuta summa delle sue idee sull’amore e la morte (come recita il titolo originale), i poli fondamentali di qualsiasi riflessione filosofica. E anche su questo si potrebbe fare un’infinita discussione, poiché infiniti sono gli spunti che il film offre a qualsiasi spettatore non sia del tutto analfabeta: la guerra, il potere, l’omicidio, la vita, l’essere umano, il destino, Dio... Amore e guerra è un vero e proprio “film filosofico”: la colonna portante è infatti la straordinaria sceneggiatura, che non solo è, come in ogni commedia, l’elemento fondante e la fonte del divertimento (e si ride davvero), ma presenta allo spettatore la vera idea di fondo, che le immagini da sole non potrebbero rappresentare efficacemente in tutto il suo infinito divenire, nella sua autentica performatività. Filosofia, appunto.
Siamo ai tempi d’oro di Allen, quando ancora il suo “personaggio” veniva portato anche davanti alla macchina da presa. Senza di lui, molti dei suoi film non potrebbero esistere. In questo caso, interpreta un giovane studente russo, Boris Grushenko, follemente innamorato della cugina Sonja (Diane Keaton), altrettanto follemente innamorata di suo fratello, altrettanto follemente innamorato di un’altra donna. Fra esperienze metafisiche (il dialogo coi morti e con la Morte in persona, sogni di vario tipo) e ben più concrete (la guerra, l’involontario atto di coraggio, e una provocante contessa russa) Boris viene trascinato dagli eventi fin dentro le stanze di Napoleone, con l’intento di ucciderlo. Cosa che, inutile dirlo, non gli riesce. E se fin da piccolo lui ha imparato a non fidarsi della Morte, ben presto scoprirà che nemmeno l’Angelo di Dio è poi così attendibile. Ammesso che un Dio ci sia.
L’importante, comunque, è non farne una tragedia. Qualsiasi cosa accada, meglio vederla come un modo molto efficace di ridurre le nostre spese. E se amare è soffrire, morire è decisamente peggio. Meglio accontentarsi della nostra umanità e della nostra ignoranza di quanto c’è “oltre”. Visto che non sappiamo, né mai potremo sapere, se c’è realmente un Dio, tanto vale continuare a vivere. Anche perché, se oggi ci uccidiamo, domani Lui potrebbe concedere un’intervista. 
Giudizio (legenda).
di Chiara Palladino. 11 Novembre 2008.

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