lunedì 2 marzo 2009

IL ROSSO SEGNO DELLA FOLLIA (di Mario Bava, 1970)

“Mi chiamo John, ho trent’anni e sono un paranoico”: Mario Bava ci tiene subito ad infrangere una delle regole principali del thriller, svelando immediatamente l’identità dell’assassino e iniziando un viaggio nell’inferno della mente di un individuo malato.
Film minore del grande regista italiano, Il rosso segno della follia – conosciuto anche col titolo diUn’accetta per la luna di miele – dimostra comunque un’eleganza visiva ed un uso insolito degli spazi (il castello, l’atelier da sposa) che farà scuola, con poco sangue e molti degli stilemi tipicamente baviani, come effetti flou, deformazioni psichedeliche, cromatismi raffinati, dissolvenze incrociate da applausi. 
Girato nel 1968 in Spagna nella villa del generale Franco, ma distribuito tra mille difficoltà due anni dopo, Il rosso segno della follia è un’opera fascinosa e imperfetta, che vale più per le atmosfere e per la disinvoltura registica che non per la storia in sé: Dario Argento ne ruberà più di un’idea per il suo Profondo Rosso, compresi certi scricchiolii nella logica narrativa; ma l’umorismo nero che beffardamente attraversa il film resta un’esclusiva di Bava, che comincia a riflettere sul linguaggio cinematografico e sui generi senza pedanterie intellettualistiche, quando il metalinguismo era ancora di là da venire.
Sottovalutato, benché non abbastanza memorabile da aspirare al rango di culto.
Giudizio (legenda). 
di Giulio Ragni. 27 gennaio 2008.

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