mercoledì 11 marzo 2009

MILANO CALIBRO 9 (di Fernando Di Leo, 1972)

Per capire come mai Fernando Di Leo venne soprannominato il “Don Siegel italiano” basterebbe guardare i primi dieci minuti di Milano calibro 9: i pestaggi e gli atti di violenza si susseguono senza soluzione di continuità, con tagli di montaggio secchi e brutali, in linea con il principio di realismo e di essenzializzazione estrema dei codici estetici e narrativi dei polizieschi d’azione americani, divenuti celebri grazie a registi quali Robert Aldrich, Samuel Fuller e appunto Don Siegel. Ma Di Leo non si fermava al semplice ricalco dei modelli, la concisione e la brutalità della messa in scena riflettevano i bui tempi politici della stagione del terrorismo e della lotta politica, con la città che diventava protagonista assoluta, personaggio aggiunto del film; e Milano, come si evince dal titolo, così protagonista non lo è mai stata.
Tratto da un romanzo di Scerbanenco, Milano calibro 9 racconta di Ugo Piazza, un uomo uscito di galera (un magnifico Gastone Moschin), che si trova sorvegliato sia dalla polizia che dai suoi ex complici di un furto di cui è scomparso il bottino. Sotto le note della splendida colonna sonora di Luis Bacalov e degli Osanna, gli eventi si susseguono in un clima di sospetti e di tensioni sempre crescenti, e l’amarezza di fondo della vicenda presenta affinità e sintonie con il coevo polar francese di Melville, mentre restano scolpite nella memoria le interpretazioni di Mario Adorf e Philippe Leroy, senza tralasciare l’ammaliante e seducente bellezza di Barbara Bouchet.
Visto a posteriori il film mantiene ancora oggi un’ottima visibilità, salvo le connotazioni politiche: il confronto tra il commissario rude e il suo vice idealista appare decisamente datato, frutto di una politicizzazione ancora pregnante nella definizione del genere, che nel poliziottesco degli anni successivi andrà via via scomparendo per lasciar posto a eroi fascistoidi (per alcuni) o difensori della legge soffocati da un’ottusa burocrazia (per altri), sul modello del sempiterno Callaghan incarnato da Clint Eastwood. Ma gli eroi ambigui ed amorali dei film di Di Leo sono di un altro pianeta, anche per la breve ed esaltante produzione del cinema di genere italiano.
Giudizio½ (legenda).
di Giulio Ragni.  13 giugno 2007.

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